Tutto è cominciato nel 2016, quando dall’unione di realtà aumentata e geolocalizzazione ha preso vita un gioco che è stato scaricato e utilizzato da milioni di persone. Parliamo di PokémonGo, un videogame per smartphone che ha rivoluzionato il modo di concepire i giochi degli ultimi anni. La carta vincente, nel caso PokémonGo, è stata la combinazione tra le tecnologie utilizzate, dove AR e Geolocalizzazione, che permettono un’esperienza unica da parte dell’utente. Attraverso queste tecnologie infatti il giocatore può vedere le animazioni con l’ambientazione di sfondo in cui è realmente situato. Grazie a queste innovazioni – sono tali almeno nel settore videoludico – il gioco garantisce un’esperienza immersiva senza confronti.
La geolocalizzazione 2.0
Alcuni hanno preso ispirazione da queste tecnologie, applicandole in diversi campi e settori. La realtà aumentata ha già trovato diversi sviluppi nel settore commerciale, specie nei touch point fisici, dove all’esperienza tradizionale se ne lega un’altra parallela in versione digitale. Anche in molti settori dove la tecnologia riveste un ruolo primario la realtà aumentata ha avuto modo di trovare le sue applicazioni, come ad esempio nella moda o nell’automotive. La geolocalizzazione, di contro, è una tecnologia ormai abbastanza datata che, secondo il parere di molti, può trovare altri campi applicativi, non sempre così immediati. A pensarci bene, la geolocalizzazione è la tecnologia che, più di altre, collega la real life e la digital life. In particolare questa permette di digitalizzare la nostra posizione: attraverso lo smartphone siamo in grado di comprendere dove siamo, possiamo vedere cosa abbiamo nei dintorni e perfino scoprire negozi e offerte nei paraggi. Le strategie di promozione e marketing che partono dalla conoscenza della posizione rientrano nella sfera del proximity marketing, che sfrutta la geografia per veicolare contenuti più in termini di disponibilità che in modalità inbound.
Le campagna Drive to store
Infatti è proprio la vicinanza che muove gli utenti, altrimenti questo tipo di marketing perderebbe di senso. Contrariamente all’inbound marketing, che permette di identificare i possibili clienti sulla base di quanto stanno ricercando, il marketing di prossimità propone soluzioni vicine al possibile utente. Ma non finisce qui. Le aziende che hanno deciso di sfruttare queste strategie per promuovere i propri negozi brick and mortar ci hanno creduto e sono andati oltre. Le campagne Drive to store non si fermano all’identificazione geografica dell’utente, ma mirano a portarlo all’interno del negozio: l’esperienza in digitale si conclude con l’acquisto in negozio. Questa è la forza delle campagne drive to store, campagne dalla natura cross-mediale per eccellenza, che richiedono praticità e versatilità, sia negli elementi fisici presenti nel negozio, che nell’elemento digital delle campagne, che deve essere in grado di anticipare l’esperienza in store.
Tecnologia Geo-fencing
Per essere precisi, la tecnologia utilizzata da questo tipo di campagne si chiama Geo-fencing e si basa sulla geolocalizzazione, modificandone le regole strutturali. Infatti il geo-fencing si basa su una segmentazione di tipo geografico: l’utente non è dunque individuato ovunque esso sia. Il sistema rileva l’ingresso di un dato utente in un raggio geografico preimpostato, al fine di far partire le comunicazioni adeguate. Immaginiamo di creare un annuncio personalizzato per un utente, fornendo sconti e coupon, oltre a una pratica mini-guida per raggiungere il negozio, proprio mentre quell’utente passa nel raggio di 200 metri dalla nostra attività, cosa accadrebbe? Ci rispondono le statistiche affermando che il 76% delle persone che ricercano con il proprio smartphone “qualcosa nelle vicinanze” visitano un negozio nelle successive 24 ore. L’evoluzione del drive to store parte dal cellulare, attraverso contenuti completi e ingaggianti, per chiudersi nel negozio, dove la maggior parte delle vendite vengono effettuate.
Tool Google e Facebook
Ad oggi vi sono una serie di tool che permettono di utilizzare il geo-fencing per recapitare messaggi costruiti ad hoc agli acquirenti nelle vicinanze. Attraverso il Google Local Inventory, una funzione di Google Merchant, possiamo indicare i prodotti presenti in uno specifico store. Se quindi il Merchant di Google è utile per creare un catalogo con tutti i prodotti dell’azienda, il local inventory rappresenta una versione digitale del magazzino del negozio, automatizzata e pronta per le campagne drive to store. Il risultato è che quando l’utente cerca un determinato prodotto, l’app è in grado di indicargli lo store più vicino con quel prodotto a disposizione. Quella sviluppata da Google si tratta di una user experience completa, in grado di condurre l’utente fino al negozio. Attraverso le estensioni locali e le aste localizzate, la funzione My Business di Google diventa essenziale per invogliare i potenziali clienti nei paraggi a visitare il negozio.
Facebook non è da meno. Anche il celebre social network si è adeguato alle recenti istanze di consumo. Grazie alla funzione Facebook Locations infatti è possibile collegare le pagine di diversi negozi. In tal modo, una catena con più punti vendita può rendere noto al social network la sua reale portata in termini di presenza sul territorio e realizzare campagne mirate per un target geograficamente definito. Esattamente come Google, anche FB fornisce, già nella newsfeed, le indicazioni per raggiungere il punto vendita, senza dover passare a un’altra app, garantendo tutte le basi per una perfetta campagna drive to store.
Data Analysis
Oltre all’efficacia che dimostrano le campagne drive to store in termini statistici vi è un’altra motivazione per cui molte realtà stanno decidendo di utilizzare questa strategia. Le campagne drive to store sono tra le poche tipologie di campagne online che permettono una di generare dei report su dati in-store. La forza di queste campagne infatti sta proprio nella conversione a un obiettivo reale come quello delle vendite e dall’estrazione di importanti dati dalle azioni di advertising. Attraverso il proximity marketing infatti si possono dedurre importanti informazioni a livello geo-comportamentale, che possono tradursi in un’ottimizzazione delle campagne di prossimità.
Case study – Timberland
Il caso di studio stavolta è marcato Timberland. L’azienda a deciso di portare avanti iniziative legate al proximity marketing e, in particolare, attraverso campagne drive to store ricevendo ottimi riscontri sia in termini commerciali che di informazioni sensibili riguardo al targeting.
Questa è la forza delle campagne drive to store, come conferma Camilla Bruzzone, marketing manager di Timberland:
“[…] ci ha permesso di capire molti aspetti interessanti del nostro pubblico, dei nostri punti vendita e delle strategie che intendiamo implementare per trasformare ogni punto di contatto in opportunità di conversione: fino ad ora, ad esempio, non era stato possibile analizzare il ROI di una campagna a livello locale o su fascia oraria e su tempi di risposta. I dati a nostra disposizione oggi invece ci dicono chiaramente quando, come e dove dobbiamo puntare per crescere ed evitare allo stesso tempo dispersioni di budget, grazie a un livello di profilazione non disponibile prima”
Il nuovo marketing non è quindi digitale o meglio, non solo digitale. In fondo le migliori esperienze di consumo si hanno, anche oggi, all’interno dei negozi. L’approccio drive to store genera la possibilità di creare un customer journey cross-mediale, che rende un’esperienza completa. Il fenomeno del proximity marketing insomma è dunque capace di sintetizzare i percorsi digitali e quelli in real life oltre che per garantire la migliore esperienza, in maniera semplice e immediata per l’utente, anche per avere riscontri pratici e reali grazie ai dati che questo tipo di campagne genera.