Nell’ultimo anno le strategie di marketing e comunicazione adottate dai grandi gruppi hanno fatto spesso e volentieri un ampio utilizzo degli influencer. Sovente queste personalità sono famose e sfruttano la notorietà presso le community di riferimento per comunicare in favore dei brand che li ingaggiano come componenti di spicco nella propria strategia di marketing. Ma vediamo più da vicino l’evoluzione che sta prendendo questa tendenza sui generis, osteggiata da alcuni, punta di diamante per altri.
Il marketing dell’influenza
Alla base della riuscita di un influncer e dunque della riuscita del brand che lo ingaggia vi è la popolarità. Infatti coloro che si fregiano della qualifica di influencer veri e propri scendono di rado al di sotto della soglia del milione di follower. Numeri altissimi che, come si può intuire, sono in grado di trascinare grandi masse attraverso contenuti ben orchestrati. Tuttavia c’è una distinzione da operare in questo caso, dal momento che esistono ormai diversi livelli a cui si fa riferimento quando si parla di marketing dell’influenza:
- I micro influencer sono coloro che, pur godendo di una limitata base di follower, acquistano un ruolo di spicco nella comunicazione dei brand sia grazie a una particolare autorità sviluppata nel campo, ma anche perchè utilizzati in combinazione con altre personalità conosciute
- I macro influencer viceversa sono coloro che godono di una base di follower amplissima e che, pertanto, riescono a generare interazioni, raccontando e partecipando alle attività che i brand portano avanti
Questione di personalità
Tuttavia non è sufficiente essere famosi quando si parla di influencer marketing. Una caratteristica infatti fondamentale e non propria di tutti i VIP indistintamente è la capacità di catalizzare l’attenzione su di sè, attraverso un’autorevolezza riconsciuta. In particolare l’influencer deve godere di credito nei confronti del target d’elezione dell’azienda, fattore che rende decisamente più complessa la selezione delle personalità in grado di adempiere a questo ruolo.
Non è difficile credere che un cantante di musica trap potrebbe risultare inopportuno, anche se vanta un grandissimo numero di follower, se comunica i valori di un brand di lusso: vi è un notevole distacco tra il campo in cui l’influncer può vantare la sua autorità e ciò che il brand intende comunicare a livello di valori
I nuovi testimonial
Da quando appena delineato si evince la vera forza degli influencer. Nel tempo dei testimonial, utilizzati prevalentemente nell’ambito della comunicazione above the line tradizionale, le figure utilizzite, spesso di fama indiscussa, venivano comunque percepite dal target come distanti dal mondo umano e relazionale dell’audience di riferimento. Questi VIP – attori, calciatori, modelle e personaggi di spicco – potevano rappresentare per l’interlocutore degli eroi, degli idoli da seguire, distanti anni luce dall’universo reale che ogni persona ha intorno a sè. Con gli influencer si ribalta questa concezione, che mira però allo stesso modo a sfruttare la notorietà dei personaggi dello spettacolo e non solo.
L’influencer è infatti incoronato testimonial proprio dal target audience dell’azienda in un processo che risulta quasi inverso rispetto ai canoni classici della pubblicità che hanno caratterizzato gli anni del marketing sul piccolo schermo. L’influencer ha il potere di sembrare disinteressato rispetto ai consigli che offre, guadagnandosi una patina di autenticità e genuinitità che non solo facilita la comunicazione, ma favorisce l’immedesimazione del consumatore (di contenuti) nella figura dell’influencer e in ciò che condivide e del consumatore (di prodotti) nel marchio che l’influencer sostiene più o meno velatamente.
Influencer marketing tra alti e bassi
E il marketing? Il marketing sta proprio nel generare lo storytelling che aleggia intorno a queste figure, una storia che si sposa perfettamente con i valori di cui il brand si riveste. Da questo punto di vista (e da quello del consumatore) la storia del brand e la storia di queste personalità si fondono, divenendo un tutt’uno. L’influencer ha quindi il compito di rappresentare il volto umano del brand e, come tale, funge da trait d’union tra un’istituzione immateriale – costituita da marchio, valori e messaggi – e una persona fisica. Il marchio acquisisce di spessore, umano stavolta, e di capacità di relazionarsi a persone comuni. Sono questi influencer anche esseri umani. Celebrità con pregi, difetti e vezzi come tutti noi, talvolta anche di più.
Su questo punto si battono i marketer che osteggiano l’approccio influencer: basta poco, un comportamento sbagliato o l’adesione a una causa non condivisa dai clienti del marchio e l’ammirazione si trasforma in un biasimo che passando da bocca in bocca, o meglio da chat in chat, diventa generalizzato. Come ovviare a questo fenomeno? D’altronde, per quanto possa essere partecipe il personaggio alla vita del brand, non sarà mai così totalizzante questa rispetto agli eventi che caratterizzano la carriera di una star. Alcuni grandi marchi si sono ingegnati, comprendendo il valore aggiunto dell’influencer per l’azienda – che è costituito dalla funzione di cuscinetto tra l’azienda e il consumatore – e hanno creato un influencer perfetto, almeno in termini teorici.
Virtual influencer
Nascono gli influencer virtuali. Figure in tutto e per tutto come le persone normali, con gusti, aspirazioni e predilezioni ma… che non esistono realmente. Questi ambasciatori seguono il brand e vincono l’elemento dell’irrealtà con la suggestione della virtualità. Infatti, se la chiave di volta del marketing dell’influenza risiede nella credibilità del messaggio che i personaggi mandano, queste figure virtuali hanno un messaggio radiocomandato dal brand e l’attendibilità che l’azienda stessa programma per loro. Sebbene ad oggi l’apprezzamento nei confronti degli influencer virtuali sia appannaggio degli utenti più tech-savy, le previsioni sono del tutto ottimistiche, come dimostrato dal fatto che più di un interlocutore su due si fiderebbe di entità virtuali.
Case studies
Alcuni casi già hanno fatto la storia: è il caso di Lil Miquela che, con un milione e mezzo di follower, ha battuto in pochissimo tempo tanti personaggi famosi che puntano a divenire influencer. A giudicare dal suo profilo Instagram Miquela potrebbe in tutto e per tutto essere una normalissima utente del social: si riprende, come tanti, in tante situazioni della sua quotidianità, ricreando le istanze di una vita quasi umana, ma con un ragazzo e degli amici virtuali. Ma Miquela incontra anche persone reali, malcelando anche un certo stupore per l’incontro di un personaggio famoso e rimane anche difficile intuire che si tratta di un’entità non reale, non fosse per la renderizzazione che tradisce un certo intervento grafico. Il fenomeno ha avuto un certo impatto e alcune grandi aziende hanno deciso di farne una strategia creando il loro influencer ad hoc.
Così ha fatto KFC, la nota catena di pollo fritto, che ha ideato un proprio personale influencer sulla scorta del personaggio che caratterizza il brand. Prende vita il colonnello Sanders, certo più giovane e rivisitato in chiave moderna. Una sorta di colonnello affascinante che, nelle fattezze e nei messaggi, comunica il brand in giro per il mondo, o meglio, in giro per i social.
Insomma, sembra che il presente, ancor di più il futuro, sia sempre meno vincolato allo sfarzoso mondo delle celebrità e co-creato in misura sempre maggiore attraverso i contenuti che gli utenti portano alla ribalta e che i marchi si sforzano, senza troppe difficoltà, di fare propri e, perché no, anche di rendere a volte affascinanti e suggestivi.