Il marketing approda nel mondo musicale. Non è di certo una novità, ma ciò che invece sorprende è quanto la linea tra le strategie di comunicazione e l’arte sia labile, oltre che ampiamente valicabile. Che ci siano figure di marketing dietro i personaggi famosi – calciatori, artisti, musicisti e altri VIP – è noto, ma non è parimenti facile comprendere appunto quanto quale sia il limite in cui si ferma il marketing e comincia la musica e dove termina l’arte per dare spazio alle relazioni pubbliche. Questo è ciò che proveremo a definire oggi, affrontando un caso sulla bocca di tutti, il segreto di Liberato.
Industria culturale
Il settore artistico è da molto tempo considerato un’industria culturale in grado di muovere ingenti capitali, non solo attraverso la vendita dell’arte stessa. La musica spicca in questo ambiente, sia per le modalità di fruizione che per una certa cultura dominante, che privilegia le arti musicali rispetto a quelle visive. Sta di fatto che artisti, dischi e melodie sono costantemente presenti nella nostra vita di tutti i giorni. La musica che scegliamo tende a formarci fino a darci uno stile.
Ma quanto le espressioni che caratterizzano il mondo musicale sono frutto di una forma artistica e quanto sono scelte a tavolino? Non vi è certezza di quando abbia avuto inizio un approccio più di marketing rivolto al mondo musicale, ma le figure che curano la comunicazione degli artisti hanno proprio il compito di rendere al massimo l’espressività del genere, dell’artista e della sua comunicazione (sia verbale che musicale).
Personal Branding
Poco fa si è accennato al fatto che la musica è assimilabile a un’industria, in egual modo un artista può essere paragonato a un’azienda, sebbene questo concetto potrebbe risultare scomodo. Dagli occhi delle persone che si occupano di curare l’immagine di un personaggio famoso, però, è proprio così: si parte dal personal branding dell’artista – che avrà una storia quanto più possibile in linea con i suoi ascoltatori – per curare le tematiche trattate e gli stili espressivi e grafici, per chiudere con la comunicazione verso i fan. Tale processo è stato qui ridotto all’osso per rispetto degli spazi, ma si può ben immaginare quanto altro ancora si possa costruire sull’immagine di una persona famosa.
Così nascono molti casi che, esattamente come i principali brand, allestiscono delle storie che arricchiscono i contenuti propri, rendendoli in sintonia con quanto il fan, il pubblico, l’acquirente si aspetta. Nascono così collaborazioni, adesioni alle cause, sponsorizzazioni, che non fanno che far parlare del personaggio. E la musica? C’è anche quella.
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La strategia Liberato
Ma la strategia di Liberato non è si è limitata al personal branding, dal momento che sarebbe stata fisiologicamente limitata all’ambito musicale. Il progetto che vede Liberato come protagonista investe una serie di settori e diventa totalizzate, una star del tutto, che sfrutta una serie di attività e azioni specifiche per diventare una storia unica, non solo musicale, una storia di vita.
Il buzz che ha generato il fenomeno Liberato scatta proprio dalla segretezza della sua identità: il cantante non si è mai mostrato a volto scoperto, ma ha fatto vedere esclusivamente la felpa con il suo nome, scritto a caratteri particolari.
In altre parole, una campagna teasing applicata al personal branding. Il teasing è noto agli addetti ai lavori e viene utilizzato quando si lancia un nuovo prodotto o marchio, senza però farne vedere le caratteristiche prima del lancio, in fase di pubblicizzazione. Una comunicazione che quindi fonda le sue peculiarità proprio sull’elemento mistero e sulla curiosità che riesce a generare: non per niente il significato della parola “teasing” è proprio “stuzzicare”. Sono campagne che hanno un particolare potere, quello di stimolare l’aspettativa del potenziale cliente, che si impegna al fine di capire da subito di cosa potrebbe trattarsi, ma non lo capirà fino a prodotto svelato (follow-up).
Come tradurre questo approccio in musica? Identità segreta, un genere musicale non ben identificabile, date e location dei concerti “segrete”. Tuttavia questa strategia di personal branding applicata alla musica non nasce con Liberato ma ha grandi capiscuola come i Daft Punk e gli Slipknot. Altri esempi dello stesso tipo si possono ritrovare ad esempio nella scrittura, con Elena Ferrante, una scrittrice la cui identità è ancora ignota ai più.
Endorsement
Ma se pensiamo che la strategia di Liberato si fondi esclusivamente sull’anonimato ci sbagliamo. Infatti una serie di marchi hanno utilizzato il suo nome e, paradossalmente, la sua identità come strategia di marketing. Comprendere se sia stata la strategia di personal branding a precedere l’interesse delle aziende o viceversa, in questa sede, equivarrebbe a voler capire se sia nato prima l’uovo o la gallina. Come già accennato infatti, la storia incontra il gusto degli utenti con i suoi piedi e insieme a tutte le componenti che la costituiscono.
Rimane il fatto che brand importanti come Converse hanno puntato molto su Liberato: questi artisti, secondo il CEO dell’etichetta discografica Universal Music Italia, possono valere per le aziende “da diverse centinaia di migliaia di euro per un esordiente e alcuni milioni per un artista affermato”. I grandi marchi guardano con interesse a questi fenomeni per utilizzarli nelle loro strategie di endorsemen più o meno esplicite.
Converse ne esce vincitrice e Liberato pure. Liberato si vede pubblicizzato su uno dei marchi più importanti del mondo e per Converse, come ci spiega Luca Michelotti, pr manager Sud Europa di Converse, “l’impatto creato è stato forte e lo dimostra il vasto numero di media che hanno ripreso angoli diversi del progetto, in maniera del tutto organica”, in altre parole, l’eco di questa collaborazione si è sentita in lungo e in largo.
Ma Converse non è l’unica ad aver cavalcato l’onda del fenomeno Liberato. Anche Amaro Lucano ha vestito la sua celebre pacchianella con la nota felpa dell’artista napoletano.
Anche sulla volontarietà e sugli accordi che governano questi fenomeni non ci è dato sapere, ma il caso Liberato ha fatto scuola, forse più nel marketing che nella musica. Anche l’approccio di endorsement degli artisti non nasce con Liberato, come ci spiega il Sole 24 Ore, si pensi allo spot che ha legato inscindibilmente la figura di Michael Jackson con la Pepsi Cola. Era il 1984 e di marketing si sapeva ancora ben poco. Altri esempi del genere li abbiamo anche in Italia, basti pensare a “Italiana”, la canzone di J-Ax e Fedex che è divenuta la colonna sonora del Cornetto Algida. Anche nei casi di Sfera Ebbasta, partner di Nike e Franklin & Marshall e Dark Polo Gang, griffati Burberry , le loro storie camminano in maniera parallela ai brand e il Sole 24 Ore ci lascia con una conclusione alquanto sibillina: si fa quel che si può.
E la musica?
Dove finisce il marketing? Dove inizia la musica? Non ci è dato sapere. In questi progetti sono le minime sfaccettature a rendere grande l’operazione. Sono storie nuove e al pubblico piace, delle storie che non lasciano nulla indietro e diventano stile, comprendendo la musica, la moda, i grandi temi di attualità. Per chi non si accontenta, c’è anche del meta-marketing: basti pensare a tutte le persone che si chiedono se sia effettivamente tutta una strategia oppure se Liberato abbia solo particolarmente a cuore la sua privacy. Anche questo è parte integrante del fenomeno… E la musica? è la colonna sonora della storia.